LA BOTTEGA di ODO TINTERI WEB

Se mi chiedo che cosa è un abbraccio.

Rispondo dicendo che è una cosa meravigliosa, ma dico poco, quasi niente.

Dire che è un corpo che lega e stringe uno all’atro, troppo poco. Ad ogni definizione che mi viene in mente, appare sempre il limite di ciò che dico, insufficiente.

Quando ho scritto che è un racconto fra due persone, l’ho fatto con molto senso, mi pare, del romantico che c’è nella vita delle persone. Ma anche in questo caso, può avere connotati infiniti. Ci sta tutto: l’amore, la tenerezza, il dolore, la gioia, il pianto, il riso. L’abbraccio come un filo che produce scintille per illuminare e coinvolgere. Aggiungo subito che mi viene da pensare, che non sono due corpi, ma due cuori e se volete, due anime.

Quando lavoro per realizzare l’abbraccio che mi viene in mente, lo disegno. Comincio con una idea che mi pare esaltante e nel produrre segni l’idea fatalmente cambia. Le mani mi rubano la fantasia. Nel segno non c’è più l’incanto, si allontana dall’intento. Una complicità ignota conduce il gesto. Aggiusto, correggo, cancello. Il segno sulla carta bianca mi provoca. L’emozione che l’aveva suggerito, diventa nuvola persa in un cielo che si fa tempesta. Mi butto sui corpi da disegnare per agguantarli e punirli di non so che. Li contorco, li accarezzo per piegarli al mio desiderio. Cerco l’evocazione che mi coinvolga. Vorrei che parlassero senza mostrarmi il volto. Poi mi accorgo che gli abbracci non hanno bisogno di parole. Diventano racconto senza parole. Quando picchio su pietra informe, mi viene da bestemmiare, anche se non sono uso a farlo, mai. Chiedo, alla pietra, di mostrare tenerezza. La pietra mi consiglia prudenza e pazienza. Quando pretendo troppo, grida di dolore alle martellate senza ragione. Confesso che non ho ancora capito che cosa chiedo ai miei abbracci dipinti o scolpiti. Comincia a crescere il dubbio che li voglio fare, ma senza sapere che cosa sono. Mi sembra un libro con pagine di sentimenti alla luce del giorno.  Diventa specchio del mio tempo vissuto. Memoria che diventa mare. Onde di mare in balia del vento. Abbraccio con devozione l’idea. L’idea che vuol farsi immagine… oggetto. Non ditemi che abbraccio il vento. Anche se il vento, se apro la fantasia, mi permette di volare. Sempre volare, sognare. Sognare abbracci…senza fine. Il desiderio… gli abbracci…senza tempo, di tutte le stagioni della mia vita e di quelle che verranno.

Voglio ricordare le motivazioni o meglio i momenti che mi hanno suggerito di eseguire quelle opere

Ho ricordato che una sera. Assistendo a Parigi, in una cave di Saint Germain ad uno spettacolo di Juliette Greco, ho conosciuto una ballerina indiana che si esibiva in una danza, che penso, fosse di origine indiana. Seppi dopo, che aveva una scuola di danza.  Notai sul suo collo una collana sottile a cui era appesa una piccola scultura che ricordava un abbraccio fra due persone. Mi incuriosi e chiesi di vederla meglio.  Vedendo il mio interesse, mi mostrò, togliendolo dal braccio, un braccialetto largo di metallo con sbalzati una serie di abbracci. In un primo momento pensai che fosse un Kama Sutra, sapendo che era indiana. Capì la mia interpretazione e mi spiegò che nella danza i corpi dei ballerini non solo si toccano ma per poter eseguire la danza in maniera emozionale, come richiesto, deve esserci anche uno scambio di energie che il contatto fisico promuove. Ascoltai la lezione secondo ciò che nel momento pensavo. Questo momento lo ricordo ancora e mi è servito per leggere la danza secondo questi dettami. In quel momento il mio lavoro aveva altre intenzioni e il tutto fu riposto nella mia coscienza.

  Momento in cui dovetti pensare al significato ed al valore degli abbracci fu quando ebbi l’esperienza di Arte Terapia, prima a Cogoleto e poi nell’atelier esterno dell’università, a Parigi, con Anne Denner. Ci assisteva un gruppo di Psicologi che si interessavano dell’abbraccio, in maniera specifica. Alcuni di loro provocavano il pubblico, in rue de Rivoli, offrendo abbracci ai passanti. Qualche volta, incuriosito, partecipai come osservatore. 

Quando partecipavano ai nostri incontri- lezione ci spiegavano le reazioni dei nostri assistiti e come noi potevamo comunicare con loro. Notarono la mia difficoltà ad approcciami a loro. L’osservato divenni io e mi spiegarono perché. Una psicologa di nome Laura mi fece tante domande. Alle mie risposte sentenziò che il mio comportamento era dato da mancanza di abbracci nella mia infanzia, che su di me, avevano dato quelle risultanze. Appresi che il fatto che non amassi le feste di battesimo, cresima e matrimoni avevano una causa ipotetica. Anche il fatto che all’inaugurazione delle mostre importanti non amassi avere accanto parenti stretti. Che non volessi assolutamente figli, costringendo le mie donne a rinunciarci. Che mi fossi sposato con due soli testimoni amici a Roma, in una cappella chiusa di San Paolo Fuori le Mura, con un prete, Don Franzoni, di idee molto discusse e dopo un pranzo fuori Roma, ai Castelli, la partenza per Parigi. Anche questi erano per lei palesi segnali documentati nella letteratura medica.  Maura, questo è il suo nome, mi illustrò queste problematiche che al momento presi con moderata adesione. Nel tempo affioravano e mi costringevano a pensare. La goccia che fece traboccare il vaso della mia coscienza fu a Colombo in Sri Lanka. Mi trovavo per seguire i Lavori della scuola che dopo lo tsunami. Avevo contribuito a costruirla a Mirissa, con la vendita di cento mie opere. Mentre visitavo un importante tempio, mi sentii chiamare da una signora. Non capivo il motivo né le sue parole. Un monaco Buddista, presente, comprendendo la mia difficoltà, si avvicinò e mi spiegò che la signora voleva abbracciarmi. Io mi concedetti come salame legato. La signora mi prese per mano e mi condusse in una stanza con tante tasche nelle pareti. Capi dopo, che contenevano le ceneri dei defunti. Seguì la donna che senza lasciare la mia mano, tolse una mela dalla borsa e mi invitò a morderla. Il monaco assisteva al fatto. Mi abbracciò ancora più volte e lasciò la mela nelle mie mani. Il monaco mi spiegò che era un’usanza di un certo tipo e di certe genti. In un tempo che mi sembrò lunghissimo, fuori dalla stanza, la signora si inginocchiò e lasciò la mia mano. Il monaco sorrise ringraziandomi. Parlava francese ed inglese e non persi l’occasione di farmi spiegare bene l’accaduto. La signora mi aveva scelto perché le avevo ricordato il marito amato e la mia energia l’aveva attratta in maniera totale. L’abbraccio con me l’aveva congiunta al marito. Il monaco aveva comunque letto il mio imbarazzo e ne approfittò per dire che noi occidentale abbiamo perso il significato dell’abbraccio e quando ci baciamo ed abbracciamo è tutto finto e con poco significato. Anche le nostre strette di mano sono poco comunicative. Ho preso la lezione e messa da parte. Questi ed altri eventi hanno determinato la voglia di affrontare queto tema. Cominciai a fare disegni e mi appassionai al tema. I miei abbracci in mostra, sono il risultato del mio interesse. I miei abbracci sono in amore.

In questi giorni, una mia amica, levatrice di professione, mi ha inviato una foto. Abbraccia un neonato. Mi ha spiegato l’importanza di quel momento.  Altro messaggio che mi interroga.

 Alla presentazione della mostra ho invitato a spiegare il significato ed ha aggiunto spiegandolo, l’importanza dell’abbraccio nel momento in cui si vede la luce.

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