LA BOTTEGA di ODO TINTERI WEB

La scultura

Michelangelo non finiva mai le sue sculture. La scultura non è mai finita, per caratteristica e natura. Bisogna avere il coraggio di smettere di lavorarci. Il non finito, a volte, è provvidenziale, conserva un potenziale che da all’osservatore la capacità di attivare la propria fantasia e quindi il mondo che gli appartiene. L’opera deve sempre lasciare aperture potenziali per non porre limiti al suo sviluppo. Ogni volta che osservo una mia scultura in lavorazione, la tentazione è di cambiare qualcosa, che non può essere cambiata perché il togliere non permette variazioni. L’opera è nella massa e la devi trovare togliendo materia. La pietra si consuma nelle tue mani. Togli per trovare ciò che hai in mente di trovare. Naturalmente ci sono avventure che intervengono a modificare l’idea dalla quale eri partito. Lavorare sulla pietra non come lavorare su gesso per fusioni. Il gesso permette pentimenti ed aggiunte. La pietra è sfida, si lamenta ed interviene. E’ capace di esprimere pareri e difficoltà. Ti prende le mani attorcigliandoti i muscoli delle braccia. Ti ruba gli occhi piegandoti la schiena in posizione faticosa. Viene voglia di picchiare per punirla per la sua resistenza allo scalpello consumato. A volte non serve affilare il ferro, bisogna affilare la fantasia. Quando ti rendi conto che la forza del tuo picchiare non serve, devi usare l’intelligenza, che nello sforzo, diventa pigra. Altra cosa è rispettare la materia che tratti, conoscendo bene ciò che può darti. La trachite non è marmo di Carrara appena scavato e non è né tufo né granito, ha le sue regole. Il sorriso su un volto di pietra non è lo stesso nel marmo, è mistero, verità arcaica, fiume che sbriciola le montagne.

La pietra che uso, può diventare velluto anche quando le intrusioni macchiano la superficie. Scolpire vuol dire anche rubare alla natura per dare oggetto alla tua intuizione. Ciò che vedi nella pietra informe è ciò che la tua fantasia ti permette di vedere. Le pietre a volte, specialmente in Sardegna sono mostri, giganti e ciò che la luce e l’umore del momento ti suggerisce. Nel mio lavoro del momento, sono blocchi standard di cava. Ho poca libertà per i miei discorsi. Devo fare i conti con le misure e le intenzioni. Non si deve vedere, però, la difficoltà del calcolo. Le figure che voglio, devono saltare felici di liberarsi dal blocco. Devono anche muoversi per costringermi a pensare che la loro azione suggerita è evocazione che crea emozione. Quante cose voglio da queste pietre. Quante cose pretendo, che diventino. Non sono sicuro del nostro amore, ma c’è grande stima e complicità.

La mia intenzione è di ricavare abbracci umani, dando agli abbracci il desiderio di tenerezza. Cavare tenerezza dalle pietre è una avventura da vivere con grande creatività e vaccinati contro le difficoltà. Quando ciò che faccio mi commuoverà, aggiungerò altre aspirazioni, sperando che anche le pietre si commuovano alla mia buona fede. Sto imparando a dialogare con loro, anche incazzandomi. La mia innata immodestia e megalomania subisce freni inattesi. Naturalmente non sono diventato modesto, perché è un lusso, che date le aspettative, non posso concedermi. Diciamo che mi impongono orientamenti salutari per l’economia del lavoro.

Un uomo piccolo, piccolo con pietre grandi su un ring al cospetto di gente piena di dubbi e miscredente.

Mi sorge il dubbio di essere un poco pietra. Una pietra che rotola nelle intemperie della vita cercando il sorriso fra le nuvole mosse dal vento di maestro.

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